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I Fondi Europei per le PMI

Vi è una nicchia delle agevolazioni pubbliche per le imprese, che viene denominata Fondi Diretti per le aziende, gestita a cura dell’Unione europea. L’Ue suddivide la distribuzione dei Fondi agevolativi alle imprese in due grandi macrosettori: i Fondi Strutturali e i Fondi Diretti appunto. I Fondi Strutturali originano dal budget dell’Ue, ma sono gestiti da Enti Pubblici intermedi che ogni nazione membro definisce. In Italia la gestione è a regia regionale, ovvero ogni Regione, secondo le linee guida comuni, gestite e normate a livello comunitario, definisce propri bandi per erogare i Fondi comunitari alle aziende-end user.

Ma vi è un mondo di Fondi che l’Ue non ha voluto delegare alle Regioni – magari a ragione … – ed è gestito direttamente da Bruxelles. Il Focus principale riguarda i Fondi per la Ricerca e Sviluppo e va sotto il nome di “Programma Quadro per la ricerca”: ora siamo nella Programmazione 2014-2020, denominata Horizon 2020, ma è già pronta la nuova programmazione 2021-27 che prenderà il nome di Horizon Europe. Vediamo qualche numero della Programmazione in corso per capire di che si tratta e che interesse ha suscitato fra le aziende italiane.

Il Programma Horizon 2020 nel periodo 2014-2020 aveva un budget definito di 83 miliardi di euro da suddividere fra i 28 Paesi membri nei 7 anni di programmazione; molti fondi sono stati appannaggio dei centri di ricerca e delle università scientifiche, ma una fetta importante aveva un unico soggetto potenziale usufruitore: le piccole e medie imprese; e l’Italia, come noto, ha come humus principale la presenza di Pmi (Small and medium enterprises nell’acronimo comunitario Sme). Il Progetto è stato coerentemente denominato Sme Instrument.

Il budget dedicato alle Pmi era così composto: 3 miliardi di euro a salire anno dopo anno dai 353 milioni del 2014 fino ai 601 milioni che saranno messi a disposizione nel 2020, ultimo anno della programmazione in corso. Vediamo com’è andata finora: nel periodo 2014-2018 i dati sono ormai definitivi e pubblici: l’Ue ha erogato contributi per la R&S a 4.335 imprese beneficiarie, di cui 613 italiane. L’Italia si posiziona seconda per numero di imprese beneficiate dietro solo alla Spagna, che con 773 imprese finanziate è al vertice del ranking, davanti a colossi come la Germania (269 aziende finanziate), la Gran Bretagna (413) e la Francia (260).

Vale la pena aggiungere, per qualificare e capire la bontà del progetto, che diverse nazioni non comunitarie, ma senz’altro fra le più avanzate nel mondo come la Svizzera e Israele, hanno richiesto e ottenuto la possibilità di partecipare a tale programma inserendo nello stesso proprie risorse aggiuntive pur di poter permettere alle proprie aziende di entrare nella community scientifica dell’Ue.

Delle 613 aziende italiane che hanno beneficiato di tali fondi, ben il 53% proviene da due sole regioni: Lombardia ed Emilia Romagna; potrà dispiacere, ma è un dato di fatto: la locomotiva d’Italia a livello industriale è ben chiaro dove si trova. La terza regione a livello di numero di progetti approvati è il Lazio con meno della metà dei progetti della sola Emilia: 60 progetti contro 135 (e ben 190 della Lombardia). Il 2019 e il 2020 (anni per i quali ovviamente non sono ancora disponibili i dati), saranno strategici, con una cifra di 1,153 miliardi di euro a disposizione delle Pmi comunitarie.

Ricordiamo che stiamo parlando di contributi a fondo perduto, denominati grant in gergo Ue, ovvero soldi che l’azienda non dovrà restituire previo il fatto di dimostrare con un’adeguata rendicontazione tecnico-economica di aver speso tale grant per lo scopo progettuale di cui alla relativa approvazione. Da qui deriva che per avere i quattrini non sono necessarie garanzie o fideiussioni esterne, elemento estremamente importante per le aziende, specie se start-up o micro imprese che difficilmente troverebbero garanti nel sistema bancario. Il contributo copre il 70% delle spese esposte per un periodo di progetto di massimo 24 mesi e un range di contributo compreso fra 500.000 e 2,5 milioni di euro.

A differenza dei fondi italiani e regionali sono sempre previste anticipazioni del contributo al momento dello start di progetto, ovvero prima di partire con le spese l’azienda già si trova sul proprio c/c una cifra fra il 35% e il 45% di quanto dovuto; ovviamente poi si dovrà rendicontare e dimostrare con dovizia di particolari come si sono spesi tali fondi, ma intanto con già in tasca buona parte dei fondi dovuti, con un ciclo finanziario dunque virtuoso per le proprie casse aziendali.

L’approccio per selezionare il progetto è completamente bottom-up, ovvero è l’azienda che sceglie il tematismo o topic nel gergo comunitario, non è l’Ue che detta le linee. Vi è un focus importante nella valutazione su quello che l’Ue definisce l’impatto del progetto – impact – ovvero deve essere ben dimostrato il piano industriale e il modello di business dell’idea innovativa: dunque non basta che l’idea sia innovativa per l’azienda e per il mercato, ma deve essere dimostrata anche la fattibilità industriale e non solo prototipale del business: la sostenibilità del prezzo di vendita, i mercati di sbocco, la supply chain per sostenere tutta la filiera progettuale.

A tal proposito l’Ue ha mutuato un approccio tecnicamente messo a punto negli Usa già da diversi anni, secondo il quale va valutato il TRL (technology readiness level) di ogni singolo progetto per capire in una scala da 1 a 9 quale sia il livello di avanzamento dello stesso sulla strada dell’industrializzazione del prodotto innovativo; ovvero c’è un prototipo? C’è una previsione di prezzo coerente con i target dei potenziali compratori del prodotto? C’è una strategia commerciale per impostare un piano delle vendite internazionale?, ecc.

Inoltre, già dal 2018 chi vuole ottenere i fondi, dopo la presentazione di una application scritta tramite la piattaforma online dell’Ue, in caso di approvazione dovrà sostenere una prova orale in lingua inglese (ahimè spesso grosso ostacolo per le Pmi italiche!) a Bruxelles con una giuria di uditori scelti fra esperti tecnici e esperti di private equity. Qui potranno andare tassativamente e soltanto i componenti dell’azienda – soci, amministratori e dipendenti – non altri come consulenti. Ciò al fine di testare se la business idea è veramente appartenente all’azienda o gli è stata cucita addosso da altri.

Non ultimo elemento da considerare è la celerità nelle valutazioni: vi sono 4 scadenze-deadline all’anno ed entro un mese dalla deadline vengono rese note le valutazioni della parte scritta dell’application; chi viene invitato a Bruxelles ha una settimana di tempo per preparare il pitch e dopo l’interrogazione entro il mese successivo si avrà l’esito finale, in caso di approvazione definitiva anche all’orale si firmerà il contratto con l’Ue, denominato grant agreement e si riceverà entro circa a 20 giorni il primo bonifico in anticipazione.

Dunque in un’ipotetica timeline presentando il 9 ottobre pv – prima deadline utile – si avrà l’esito della valutazione entro il 15 dicembre, si firmerà ai primi del 2020 il grant agreement e per fine gennaio 2020 saranno accreditati i fondi in anticipazione sul proprio c/c bancario: entro la fine del 2021 si dovrà terminare il progetto di R&S e chiedere il saldo del contributo.

È doveroso purtroppo, guardando alle statistiche ormai note del periodo 2014-18, esplicitare i numeri relativi alla redemption dei progetti, ovvero quanti progetti sono stati approvati rispetto a quelli presentati. A dispetto ancora delle cassandre e dei gufi sempre in agguato nel dire che le cose vanno male e che l’Italia non utilizza i fondi comunitari che vengono rimandati indietro all’Unione europea, per i fondi diretti si scoprono cose interessanti guardando a questo dato: nel complesso delle due fasi in cui è stato suddiviso lo Sme Instrument, il tasso di successo medio dei progetti è pari all’11,4%, mentre se si guarda alla sola Italia, tale tasso decresce al 7%; non è un bel dato, ma questi sono i numeri.

Passiamo ora a formulare una breve overwiev per il prossimo periodo di programmazione: sul Programma generale Horizon Europe saranno allocati per il periodo dal 2021 al 2027 circa 103 miliardi di euro. Tenendo presente che probabilmente la Gran Bretagna sarà fuori dal gioco, vorrà dire che l’incremento da Horizon 2020 sarà cospicuo, circa 20 miliardi in più e un astante importante in meno alla tavola. Per il Programma specifico di ricerca per le Pmi cui solo queste potranno accedere e che verrà denominato Accelerator sono previsti circa 4-5 miliardi (a oggi il budget è ancora in fase di negoziazione).

Con Accelerator la Commissione sta inoltre mettendo a punto un servizio complementare a quello fornito tramite l’erogazione del contributo a fondo perduto: metterà infatti a disposizione delle Pmi meritevoli anche la possibilità di partecipare per un periodo di circa 7 anni al capitale sociale delle aziende finanziate, con il cosiddetto blended, ovvero una provvista finanziaria fino a un massimale di 12,5 milioni di euro erogata sotto forma di aumento di capitale sottoscritto da una società veicolo dell’Ue, che per un periodo limitato di tempo resterà socio dell’azienda beneficiata contribuendo con la propria provvista di fondi ad attivare il progetto innovativo, non solo nella parte di ricerca fino alla pre-industrializzazione e prototipazione, ma anche per l’attivazione della produzione vera e propria.

Dunque per le aziende italiane è il momento, a dispetto di tanti gufi e cassandre più abituati a guardare l’albero che cade che la foresta che cresce, di guardare all’Europa e ai suoi tanti, utili e possibili strumenti a favore dell’imprenditoria italiana. L’auspicio di tutti è che per la nuova programmazione il posto della Spagna, ora prima nel lucrare i benefici per la R&S delle Pmi, sia ben presto conquistato a pieno titolo e merito dalle aziende italiane.